La legge italiana riconosce alla donna tre importanti diritti
Questi diritti riconosciuti alla donna non si contrappongono ai diritti del suo nato, ma sono funzionali all’affermazione dei diritti del neonato a crescere in una famiglia, anche diversa da quella di origine, in grado di fornirgli quelle cure affettive ed educative che gli sono indispensabili per un armonico sviluppo della sua personalità. La scelta di non riconoscere un bambino come figlio, nella consapevolezza di non poterlo crescere in modo adeguato alle sue necessità psico-affettive, rappresenta pertanto un’assunzione di responsabilità verso la nuova vita, che va rispettata e compresa.
La legge consente alla madre di non riconoscere il bambino e di lasciarlo nell’ospedale in cui è nato (d.P.R. n. 396/2000, art. 30, comma 2) affinché sia assicurata l’assistenza e anche la sua tutela giuridica. Il nome della madre rimane per sempre segreto e nell’atto di nascita del bambino viene scritto “nato da donna che non consente di essere nominata”.
La donna che non riconosce e il neonato sono i due soggetti che la legge deve tutelare, intesi come persone distinte, ognuno con specifici diritti.
Chi nasce è riconosciuto dalla nostra legge come “persona”, cui è attribuita la capacità giuridica, cioè la titolarità di diritti, anzitutto come ad ogni essere umano i diritti inviolabili della persona, il diritto all’identificazione, al nome, alla cittadinanza, alla certezza di uno status di filiazione, alla educazione e alla crescita in famiglia.
Al neonato non riconosciuto devono essere assicurati specifici interventi, secondo precisi obblighi normativi, per garantirgli la dovuta protezione, nell’attuazione dei suoi diritti fondamentali.
La dichiarazione di nascita resa entro i termini massimi di 10 giorni dalla nascita, permette la formazione dell’atto di nascita, e quindi l’identità anagrafica, l’acquisizione del nome e la cittadinanza.
Se la madre vuole restare nell’anonimato la dichiarazione di nascita è fatta dal medico o dall’ostetrica.
"La dichiarazione di nascita è resa da uno dei genitori, da un procuratore speciale, ovvero dal medico o dalla ostetrica o da altra persona che ha assistito al parto, rispettando l'eventuale volontà della madre di non essere nominata" (d.P.R. n. 396/2000, art. 30, comma 1).
L’ufficiale di stato civile, ricevuta la comunicazione del non riconoscimento, attribuisce al neonato un nome e un cognome, procede alla formazione dell’atto di nascita e alla segnalazione alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni per la sua dichiarazione di adottabilità ai sensi della legge 184/83 s.m.i..
L’immediata segnalazione alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni della situazione di abbandono del neonato non riconosciuto, permette l’apertura di un procedimento di adottabilità e la sollecita individuazione di un’idonea coppia adottante. Il neonato vede così garantito il diritto a crescere ed essere educato in famiglia e assume lo status di figlio legittimo dei genitori che lo hanno adottato.
Nella segnalazione e in ogni successiva comunicazione all’autorità giudiziaria devono essere omessi elementi identificativi della madre.
Il Tribunale per i minorenni, ricevuta la segnalazione, provvede alla dichiarazione dello stato di adottabilità ai sensi dell’art.11, comma 2, della legge 184/83 s.m.i.
Questa procedura può essere sospesa dal Tribunale per i minorenni soltanto:
quando il genitore biologico per difetto d’età (non ha compiuto i 16 anni) sia privo della capacità di riconoscere il figlio naturale; la procedura è rinviata anche d’ufficio sino al compimento del sedicesimo anno di età, permanendo in capo al genitore biologico la possibilità di avvalersi di un’ulteriore sospensione per altri due mesi a decorrere da questa data.
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diritto all'anonimato
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